Blue, once and again.

Per coloro che capitano su queste pagine, quelle poche volte che trovo poi effettiva corrispondenza tra lo scrivervi e pubblicarle, il fatto che anche questo post nasce dopo l'aver visto un telefilm non è poi una novità. Non è Glee stavolta, ma Revenge.

Aiden ed Emily. Io e nessuno. Certe volte mi domando se troverò mai davvero la mia better half e son certo che è forse la domanda più banale del mondo. Ma mi rendo conto che ci vogliono forse percorsi in comune, dei mondi di riferimento in parte condivisi per potersi vivere a vicenda veramente. Ma il mio mondo cosa è? cosa è stato? Ci son porte chiuse, finestre rotte. Pianti al buio e Natali passati da solo. Ci manca così tanto, c'è così tanto che non è mai accaduto, che mi domando chi possa veramente comprendere il vuoto e la disperazione che porto dentro inconsolabile. Mi rendo conto di essere una di quelle persone che non si possono capire, non tanto per colpa degli altri ma perché circostanze e sfortunati eventi le hanno portate a diventare un picasso emotivo, un quadro surrealista di dolori e brutte esperienze. Per questo motivo soffro della paura dell'abbandono e allo stesso motivo non riesco ad aprirmi con le persone che mi sono accanto. Per questo motivo non ascolto quello che sento, non so nemmeno dire cosa provo in riferimento a certi momenti, come se fossi sordo al linguaggio del mio stesso stato d'animo ma poi risulto quasi come un'antenna emozionale per quello che accade nelle vite degli altri e per i loro sentimenti.

Come al solito vorrei scrivere così tante cose che poi mi sento stupido e lascio stare. Lascio stare. Anche qui, prendo e mi chiudo. Non ho ancora il coraggio di sollevare il Velo di Maya su di me, non ho il coraggio di dire a qualcuno "Entra e sconvolgimi la vita". Ma ci lavoro. Da un anno ci lavoro e adesso so di occupare un posto nel mondo. Di non essere solo libri e doveri, ma di essere... vivo.

Di altri mali.

Come fai a spiegare alle persone ciò che senti? Intendo quando stai male. Io non sto male che sono triste e depresso. Cioè, ogni tanto sì. Il problema vero è che ci rifletto e mi rendo conto di avere un male che non riesco a comunicare a chi mi è vicino. Se hai il raffreddore si vede, se hai una malattia grave e incurabile ti curi con la chemio e speri di essere felice. Ma lo puoi dire, puoi spiegare agli altri che hai. Io come faccio a spiegare cosa ho? "Ciao, niente io non riesco a essere felice". Come lo spieghi? Come spieghi che ti viene l'ansia a stare un pomeriggio seduto a guardare la tv? Che ti senti angosciato dall'uscire per non fare commissioni, ma solo per guardare le vetrine dei negozi? Che per deciderti a prendere i biglietti per andare da qualche parte ci metti sette giorni interi? Che ti senti in colpa dopo aver fatto l'amore, che non cammini mai ma corri perché non ti senti di meritarti di gustarti i passi? Come glielo racconti alle persone che quando ti succede una cosa bella ti senti responsabile e preferiresti le cose brutte? Come lo spiegate?

I'll light a candle for you.


"Quando sei in imbarazzo sei più carino, hai il viso colorito... gli occhi luminosi. Sei più... umano. Te l'ha mai detto qualcuno?"
"No."

Periodo ipotetico dell'irrealtà.


E' inutile negarsi il permesso di pensare al "Come sarebbe stato se". Come sarebbe stato se tu non fossi stato ancora intrappolato nel tuo passato e avessi continuato a volermi come la notte in cui mi rapisti? Come sarebbe ora girare occhi negli occhi, cuori nei cuori, attraversando la solitudine della gente nel nostro involucro di complicità e sorrisi? Me lo sono chiesto, nella nostra pantomima di persone beneducate e malepensanti. Sarebbe stato bello, come bello sei quando mi sorridi con quell'aria da bambino, mostrando i denti bianchi sotto la caterva di ricci castani. Sarebbe stato giusto e sarebbe stato buono.

"Dottoressa perché secondo Lei cerco sempre persone che non stanno bene con la testa?"
"Perché sei abituato a stare male e forse sta iniziando anche a piacerti".
"..."

L'amo-re.

Marco sapeva che Lucia l'avrebbe aspettato per tutta la vita.
Sarebbe sempre stata lì, pronta ad allargare le ginocchia e sollevare la gonna per farlo entrare con violenza nella sua vita mediocre, fatta di amici di cui si accontentava e di porte in faccia. Forse si sarebbe sposata, avrebbe avuto un figlio, un aborto naturale e un gatto castrato, ma sarebbe stata pronta a gettare tutto alle ortiche nel momento in cui Lui fosse andato da Lei.

Spesso lo sognava. Poi però appena apriva gli occhi dimenticava il sogno e di averlo sognato. Era una paicevole amnesia che le permetteva di respirare 24 ore in maniera involontaria e di regalarsi addirittura qualche sorriso a Natale e al cinema da sola. Non lo dimenticava mai così, ma non ricordava chi fosse. A volte dubitava addirittura che Marco esistesse.

Quando succedeva apriva il portagioie di legno, raspava con le dita tra la bijoutteria per fare un po' di scena e dopo qualche secondo afferrava con i polpastrelli l'anello d'argento con lo smeraldo di plastica. Quello che si era comprata in Via dell'Unità, il 13 Dicembre del 2004. Lei sapeva che quello era il regalo di Marco, l'unico ricordo incosistente del fatto che lui esisteva davvero.

Si erano incontrati meno di due anni prima in una caffetteria. Lei era lì, cuffie e libro, caffé nero e bagel con la marmellata di eucalipto. Lui non c'era. Lei rimase una giornata intera a mangiare bagel, bere caffé leggere stancamente e finire con l'emicrania per il volume alto nelle cuffiette. E fu subito amore. Lei sapeva che Lui le avrebbe cambiato la vita per sempre, che le avrebbe fatto dimenticare il vuoto che le raschiava la carne, che tamburellava impaziente con le dita sulle sue ossa.

Per un po' era stata gioia. La gioia dell'attesa della felicità più grande che ti prende sotto le braccia, ti lascia sgambettare nell'aria fredda di Febbraio come se avessi cinque anni. E Lei non smetteva di pensarci. Ci pensava ogni giorno, la mattina e soprattutto la sera. Andava a letto presto, ma si addormentava tardi. Respirava forte, ma piangeva piano. Aveva il brutto vizio di mordicchiare gli angolini dei cuscini quando piangeva o di farsi venire il vomito dal nervoso.

Aveva comprato una gatta finita l'Università. Lei si chiamava Chiara, era una gatta molto intelligente e le piaceva il sapore del sangue. Portava topini, sogni e speranze tra i denti affilati, lasciandoli come regalo per Lucia sul tappeto d'ingresso. Qualche volta Lucia si arrabbiava, altre volte le grattava dietro le orecchie e diceva a Chiara che era una gatta molto intelligente ma che Marco amava i cani.
Non glielo aveva mai chiesto, ma Marco era quel tipo di persona che ami anche se non avete nulla in comune, che odia il tuo colore preferito e si addormenta quando gli mostri le foto della tua infanzia. Non poteva parlare con Lui del suo libro preferito o della sua passione per il formaggio di capra. Magari un giorno poteva accennarle che le piaceva ballare il charleston, perché lo aveva visto in vecchi film da piccola ma sapeva che Lui le avrebbe riso contro.

Ma lo amava, ed era ragione più che sufficente per essere felice della propria incompatibilità. Alcune volte Lucia aveva paura che Marco l'avrebbe dimenticata. Allora andava alla posta e imbucava una cartolina per Marco e una per se stessa. Spesso arrivava prima quella per se stessa che per Marco e la cosa la faceva piangere. Ma si diceva che doveva essere forte ed accontentarsi perché l'amore ha i suoi tempi e così anche il servizio postale. Lo fece tre volte a Ottobre, quattro a Dicembre e a Gennaio solo una. A Febbraio provò, ma non arrivò nulla, il postino si scusò dicendo che forse era andato perso a causa della tormenta.

Agli inizi di Marzo di quell'anno Chiara miagolava disperatamente. Aveva molta fame e aveva già ucciso tutti i topolini e le speranze e i sogni che crescevano nel giardino di Lucia. Aveva lasciato i corpicini scarnificati in fila sul tappeto, come in un'esecuzione fascista di un romanzo della Resistenza. A volte aveva pensato di lasciare Lucia, ma sapeva che non sarebbe stato giusto. Infondo lei era una gatta molto intelligente e sapeva che la sua padrona aveva bisogno di lei. Forse non ora. Ora e per qualche altra settimana sarebbe ancora rimasta lì. Ma presto sarebbero arrivati i vermi a scavarle le interiora e le mosche a mangiarle la faccia. Ma Chiara non lo avrebbe permesso perché la sua padrona stava aspettando il suo vero amore, Marco, di cui le parlava sempre. Diceva che Marco le avrebbe ridato la gioia che non aveva avuto mai. La sua famiglia e i suoi amici non avevano mai voluto veramente vederla felice, non avevano mai pensato di fare qualcosa solo per Lei. Ma Marco lo avrebbe fatto.

Chiara credeva a Lucia, aveva visto le lettere, lei gliele aveva mostrate, e aveva visto l'anello d'argento con lo smeraldo di plastica che lei aveva nel porta bijou. Ora stringeva l'anello nella mano destra e le lettere erano sotto al viso, sgualcite e piene di rigangoli di inchiostro sciolto. La mano destra era penzoloni dal letto e Chiara ogni tanto ci passava sotto, per rubarle una carezza. Lucia gliene dava sempre tante. Doveva stare attenta perché la siringa vuota era rimasta incastrata alle dita e rischiava di farsi male. Era una gatta molto intelligente dopotutto e sapeva le cose del mondo. Conosceva i segreti dell'amore e l'importanza dell'amore vero. Sapeva che Lucia aspettava Marco, che l'avrebbe sempre aspettato. Avrebbe gettato figli, marito e gatto al vento per Lui.

Come what may.


La devo proprio smettere di usare titoli di canzoni che coverizzano in Glee come titolo del post. Ma forse non la smetterò mai, perché dovrei? Magari anche il pagerank mi premierà, magari fottesega.

Ora sento "We've got tonight", ho un'oretta da ammazzare prima di prendere un pullman, tornare a casa e rovistare nella mia vita. C'è una casa da rimettere a posto, frigorifero da rimpolpare, freezer da sbrinare. Mentre la pioggia dovrebbe finire, tutto deve tornare a splendere, fiorire e germogliare anche nella mia casa.
Torni per un mese, poi rivai. Ti ho detto una mezza bugia, ma forse è una bugia che farà bene ad entrambi, sai? Non ne sono certo, può darsi che vittima del mio distorto codice etico e morale poi ti dia un'altra versione.
In questi mesi mi son chiesto se tu mi sia mancata o meno. Effettivamente mi sei mancata meno di quanto pensassi: non ti ho voluto pensare. Un po' forse ero geloso. Un po' mi son goduto la solitudine pacifica, ho fatto qualche piano, ho messo qualche pietra al proprio posto. Anche con me stesso.

Ho sempre paura quando torni. Paura di me, paura di te e di lui. Vorrei che le cose girassero bene, che questo mesetto che tu sarai con noi tu possa stare serena, tranquilla. Vorrei pochi litigi, pochi pensieri e poche discussioni. Sarà così? Il problema è che non so come fare, ma forse è giusto così. Forse non dovrei essere io a pensare alle vostre decisioni, dovrei lasciare voi a scegliere per voi e non darvi un aiuto. Dovrei far seccare il cordone ombelicale tra noi tre e che oramai cresce al contrario, con me che nutro voi e non viceversa. Questo timore di non potervi sapere felici e autonomi, senza me, è ciò che mi atterra. Eppure questi mesi tu sei stata bene: si è forse aperta una fase di serenità per te che io speravo da tanto e che potrebbe portare nuovi equilibri. Rimane lui.

La sua voce stanca mi accusa quando anche mi dice che mi vuole bene. Non lo fa, son io che lo sento, lo so. Lo vedo stanco, tanto stanco. Lo sento solo e invece di abbracciarlo, spesso gli do addosso. Perché, discorso già fatto, tutto questo è colpa sua: ha fatto i suoi errori, ha scelto senza criterio. Ha agito sconsideratamente, meritandosi tutto questo. Ma se razionalmente io lo so, emotivamente mi dispiace e allo stesso tempo mi fa rabbia. Vorrei che si lasciasse guidare e vorrei avere una soluzione anche per lui.

La rabbia è un po' la mia quintessenza. Oramai mi rendo conto che ne ho lasciata così tanto dentro di me, che mi scorre nel sangue come un siero caldo e denso. Quando prende il sopravvento mi riempe il cuore di nero, mi distrugge e combatte con me stesso. Forse imparerò a controllarla, forse meno. La prima cosa da fare, lei dice, è trovare il mio posto nella mia vita. Al momento non mi ha detto come fare, ma sono speranzoso.

Intanto la mia vita procede tra alti e bassi: c'è sempre una mail per l'America da spedire, mezza città col mio numero di telefono vicino alle scuole e tanto vuoto nel mio cuore. Mi accontentò di riempire il mio conto in banca, ora come ora. Una buona e consistente parte del mio essere solo viene anche dalla mia ansia, dalla mia paura di stabilirmi (nonostante il desiderio e la tensione continua verso questo).

Ho fiducia? Sì. Spero, forse a torto.
Come what may, anche in questo caso.

Cause they can see the flame that's in her eyes.


Forse dovrei riflettere sul fatto che vedere Glee mi renda sempre così portato a fare grandi riflessioni su me stesso. Eppure è così.

Ho appena visto "Diva" e ho pianto forte; la scena tra Tina e Blaine, la scena finale di Santana poi. Diciamo che son state un po' catartiche, forse meno di quanto io stesso voglio sperare siano state. La voglia immensa di riuscire, di essere qualcuno, di spezzare la mediocrità e finalmente di avere il posto nel mondo in cui mi possa sentire "giusto".

Everybody stands, as she goes by
Cause they can see the flame that's in her eyes


Ieri sentivo Second Hand Baby Grand di Smash e mi son sentito subito in sintonia con quella canzone. E' buffo, ma è così. Sono di seconda mano nella mia vita: non ho amici che mi considerano come prima scelta, per i miei anche sono di seconda mano. L'unica cosa che mi riesce è lo studio, ma non sono il prossimo Nobel quindi diciamo che riesco a trarne meno gioia di quanto vorrei.

Watch her when she's lighting up the night
Nobody knows that she's a lonely girl


Sento di essere diverso da chi ho intorno: guardo tanto in alto, per avere solo ventidue anni. Nonostante quello che mi porto appresso, nonostante quello che mi trattiene giù, sogno di farcela. Di dire addio a tutto questo. Ci sono giorni in cui sento dentro di me una forza enorme, che lotta contro le pareti della mia pelle per uscire fuori. E ogni volta che la devo reprimere devo concentrarmi con tutto me stesso, altrimenti basta un nulla, una canzone nella riproduzione shuffle, uno sguardo da un passante per portarmi nella mia dimensione parallela dove sento di essere al posto giusto, al momento giusto. Dove mi posso sentire a casa finalmente.

Adesso un pullman mi aspetta, ma volevo buttare giù queste poche parole.


Feeling the catastrophe, but she knows she can fly away





Blue, once and again.

mercoledì 11 dicembre 2013

Per coloro che capitano su queste pagine, quelle poche volte che trovo poi effettiva corrispondenza tra lo scrivervi e pubblicarle, il fatto che anche questo post nasce dopo l'aver visto un telefilm non è poi una novità. Non è Glee stavolta, ma Revenge.

Aiden ed Emily. Io e nessuno. Certe volte mi domando se troverò mai davvero la mia better half e son certo che è forse la domanda più banale del mondo. Ma mi rendo conto che ci vogliono forse percorsi in comune, dei mondi di riferimento in parte condivisi per potersi vivere a vicenda veramente. Ma il mio mondo cosa è? cosa è stato? Ci son porte chiuse, finestre rotte. Pianti al buio e Natali passati da solo. Ci manca così tanto, c'è così tanto che non è mai accaduto, che mi domando chi possa veramente comprendere il vuoto e la disperazione che porto dentro inconsolabile. Mi rendo conto di essere una di quelle persone che non si possono capire, non tanto per colpa degli altri ma perché circostanze e sfortunati eventi le hanno portate a diventare un picasso emotivo, un quadro surrealista di dolori e brutte esperienze. Per questo motivo soffro della paura dell'abbandono e allo stesso motivo non riesco ad aprirmi con le persone che mi sono accanto. Per questo motivo non ascolto quello che sento, non so nemmeno dire cosa provo in riferimento a certi momenti, come se fossi sordo al linguaggio del mio stesso stato d'animo ma poi risulto quasi come un'antenna emozionale per quello che accade nelle vite degli altri e per i loro sentimenti.

Come al solito vorrei scrivere così tante cose che poi mi sento stupido e lascio stare. Lascio stare. Anche qui, prendo e mi chiudo. Non ho ancora il coraggio di sollevare il Velo di Maya su di me, non ho il coraggio di dire a qualcuno "Entra e sconvolgimi la vita". Ma ci lavoro. Da un anno ci lavoro e adesso so di occupare un posto nel mondo. Di non essere solo libri e doveri, ma di essere... vivo.

Di altri mali.

sabato 19 ottobre 2013

Come fai a spiegare alle persone ciò che senti? Intendo quando stai male. Io non sto male che sono triste e depresso. Cioè, ogni tanto sì. Il problema vero è che ci rifletto e mi rendo conto di avere un male che non riesco a comunicare a chi mi è vicino. Se hai il raffreddore si vede, se hai una malattia grave e incurabile ti curi con la chemio e speri di essere felice. Ma lo puoi dire, puoi spiegare agli altri che hai. Io come faccio a spiegare cosa ho? "Ciao, niente io non riesco a essere felice". Come lo spieghi? Come spieghi che ti viene l'ansia a stare un pomeriggio seduto a guardare la tv? Che ti senti angosciato dall'uscire per non fare commissioni, ma solo per guardare le vetrine dei negozi? Che per deciderti a prendere i biglietti per andare da qualche parte ci metti sette giorni interi? Che ti senti in colpa dopo aver fatto l'amore, che non cammini mai ma corri perché non ti senti di meritarti di gustarti i passi? Come glielo racconti alle persone che quando ti succede una cosa bella ti senti responsabile e preferiresti le cose brutte? Come lo spiegate?

I'll light a candle for you.

martedì 15 ottobre 2013


"Quando sei in imbarazzo sei più carino, hai il viso colorito... gli occhi luminosi. Sei più... umano. Te l'ha mai detto qualcuno?"
"No."

Periodo ipotetico dell'irrealtà.

sabato 12 ottobre 2013


E' inutile negarsi il permesso di pensare al "Come sarebbe stato se". Come sarebbe stato se tu non fossi stato ancora intrappolato nel tuo passato e avessi continuato a volermi come la notte in cui mi rapisti? Come sarebbe ora girare occhi negli occhi, cuori nei cuori, attraversando la solitudine della gente nel nostro involucro di complicità e sorrisi? Me lo sono chiesto, nella nostra pantomima di persone beneducate e malepensanti. Sarebbe stato bello, come bello sei quando mi sorridi con quell'aria da bambino, mostrando i denti bianchi sotto la caterva di ricci castani. Sarebbe stato giusto e sarebbe stato buono.

"Dottoressa perché secondo Lei cerco sempre persone che non stanno bene con la testa?"
"Perché sei abituato a stare male e forse sta iniziando anche a piacerti".
"..."

L'amo-re.

martedì 26 marzo 2013

Marco sapeva che Lucia l'avrebbe aspettato per tutta la vita.
Sarebbe sempre stata lì, pronta ad allargare le ginocchia e sollevare la gonna per farlo entrare con violenza nella sua vita mediocre, fatta di amici di cui si accontentava e di porte in faccia. Forse si sarebbe sposata, avrebbe avuto un figlio, un aborto naturale e un gatto castrato, ma sarebbe stata pronta a gettare tutto alle ortiche nel momento in cui Lui fosse andato da Lei.

Spesso lo sognava. Poi però appena apriva gli occhi dimenticava il sogno e di averlo sognato. Era una paicevole amnesia che le permetteva di respirare 24 ore in maniera involontaria e di regalarsi addirittura qualche sorriso a Natale e al cinema da sola. Non lo dimenticava mai così, ma non ricordava chi fosse. A volte dubitava addirittura che Marco esistesse.

Quando succedeva apriva il portagioie di legno, raspava con le dita tra la bijoutteria per fare un po' di scena e dopo qualche secondo afferrava con i polpastrelli l'anello d'argento con lo smeraldo di plastica. Quello che si era comprata in Via dell'Unità, il 13 Dicembre del 2004. Lei sapeva che quello era il regalo di Marco, l'unico ricordo incosistente del fatto che lui esisteva davvero.

Si erano incontrati meno di due anni prima in una caffetteria. Lei era lì, cuffie e libro, caffé nero e bagel con la marmellata di eucalipto. Lui non c'era. Lei rimase una giornata intera a mangiare bagel, bere caffé leggere stancamente e finire con l'emicrania per il volume alto nelle cuffiette. E fu subito amore. Lei sapeva che Lui le avrebbe cambiato la vita per sempre, che le avrebbe fatto dimenticare il vuoto che le raschiava la carne, che tamburellava impaziente con le dita sulle sue ossa.

Per un po' era stata gioia. La gioia dell'attesa della felicità più grande che ti prende sotto le braccia, ti lascia sgambettare nell'aria fredda di Febbraio come se avessi cinque anni. E Lei non smetteva di pensarci. Ci pensava ogni giorno, la mattina e soprattutto la sera. Andava a letto presto, ma si addormentava tardi. Respirava forte, ma piangeva piano. Aveva il brutto vizio di mordicchiare gli angolini dei cuscini quando piangeva o di farsi venire il vomito dal nervoso.

Aveva comprato una gatta finita l'Università. Lei si chiamava Chiara, era una gatta molto intelligente e le piaceva il sapore del sangue. Portava topini, sogni e speranze tra i denti affilati, lasciandoli come regalo per Lucia sul tappeto d'ingresso. Qualche volta Lucia si arrabbiava, altre volte le grattava dietro le orecchie e diceva a Chiara che era una gatta molto intelligente ma che Marco amava i cani.
Non glielo aveva mai chiesto, ma Marco era quel tipo di persona che ami anche se non avete nulla in comune, che odia il tuo colore preferito e si addormenta quando gli mostri le foto della tua infanzia. Non poteva parlare con Lui del suo libro preferito o della sua passione per il formaggio di capra. Magari un giorno poteva accennarle che le piaceva ballare il charleston, perché lo aveva visto in vecchi film da piccola ma sapeva che Lui le avrebbe riso contro.

Ma lo amava, ed era ragione più che sufficente per essere felice della propria incompatibilità. Alcune volte Lucia aveva paura che Marco l'avrebbe dimenticata. Allora andava alla posta e imbucava una cartolina per Marco e una per se stessa. Spesso arrivava prima quella per se stessa che per Marco e la cosa la faceva piangere. Ma si diceva che doveva essere forte ed accontentarsi perché l'amore ha i suoi tempi e così anche il servizio postale. Lo fece tre volte a Ottobre, quattro a Dicembre e a Gennaio solo una. A Febbraio provò, ma non arrivò nulla, il postino si scusò dicendo che forse era andato perso a causa della tormenta.

Agli inizi di Marzo di quell'anno Chiara miagolava disperatamente. Aveva molta fame e aveva già ucciso tutti i topolini e le speranze e i sogni che crescevano nel giardino di Lucia. Aveva lasciato i corpicini scarnificati in fila sul tappeto, come in un'esecuzione fascista di un romanzo della Resistenza. A volte aveva pensato di lasciare Lucia, ma sapeva che non sarebbe stato giusto. Infondo lei era una gatta molto intelligente e sapeva che la sua padrona aveva bisogno di lei. Forse non ora. Ora e per qualche altra settimana sarebbe ancora rimasta lì. Ma presto sarebbero arrivati i vermi a scavarle le interiora e le mosche a mangiarle la faccia. Ma Chiara non lo avrebbe permesso perché la sua padrona stava aspettando il suo vero amore, Marco, di cui le parlava sempre. Diceva che Marco le avrebbe ridato la gioia che non aveva avuto mai. La sua famiglia e i suoi amici non avevano mai voluto veramente vederla felice, non avevano mai pensato di fare qualcosa solo per Lei. Ma Marco lo avrebbe fatto.

Chiara credeva a Lucia, aveva visto le lettere, lei gliele aveva mostrate, e aveva visto l'anello d'argento con lo smeraldo di plastica che lei aveva nel porta bijou. Ora stringeva l'anello nella mano destra e le lettere erano sotto al viso, sgualcite e piene di rigangoli di inchiostro sciolto. La mano destra era penzoloni dal letto e Chiara ogni tanto ci passava sotto, per rubarle una carezza. Lucia gliene dava sempre tante. Doveva stare attenta perché la siringa vuota era rimasta incastrata alle dita e rischiava di farsi male. Era una gatta molto intelligente dopotutto e sapeva le cose del mondo. Conosceva i segreti dell'amore e l'importanza dell'amore vero. Sapeva che Lucia aspettava Marco, che l'avrebbe sempre aspettato. Avrebbe gettato figli, marito e gatto al vento per Lui.

Come what may.

venerdì 8 marzo 2013


La devo proprio smettere di usare titoli di canzoni che coverizzano in Glee come titolo del post. Ma forse non la smetterò mai, perché dovrei? Magari anche il pagerank mi premierà, magari fottesega.

Ora sento "We've got tonight", ho un'oretta da ammazzare prima di prendere un pullman, tornare a casa e rovistare nella mia vita. C'è una casa da rimettere a posto, frigorifero da rimpolpare, freezer da sbrinare. Mentre la pioggia dovrebbe finire, tutto deve tornare a splendere, fiorire e germogliare anche nella mia casa.
Torni per un mese, poi rivai. Ti ho detto una mezza bugia, ma forse è una bugia che farà bene ad entrambi, sai? Non ne sono certo, può darsi che vittima del mio distorto codice etico e morale poi ti dia un'altra versione.
In questi mesi mi son chiesto se tu mi sia mancata o meno. Effettivamente mi sei mancata meno di quanto pensassi: non ti ho voluto pensare. Un po' forse ero geloso. Un po' mi son goduto la solitudine pacifica, ho fatto qualche piano, ho messo qualche pietra al proprio posto. Anche con me stesso.

Ho sempre paura quando torni. Paura di me, paura di te e di lui. Vorrei che le cose girassero bene, che questo mesetto che tu sarai con noi tu possa stare serena, tranquilla. Vorrei pochi litigi, pochi pensieri e poche discussioni. Sarà così? Il problema è che non so come fare, ma forse è giusto così. Forse non dovrei essere io a pensare alle vostre decisioni, dovrei lasciare voi a scegliere per voi e non darvi un aiuto. Dovrei far seccare il cordone ombelicale tra noi tre e che oramai cresce al contrario, con me che nutro voi e non viceversa. Questo timore di non potervi sapere felici e autonomi, senza me, è ciò che mi atterra. Eppure questi mesi tu sei stata bene: si è forse aperta una fase di serenità per te che io speravo da tanto e che potrebbe portare nuovi equilibri. Rimane lui.

La sua voce stanca mi accusa quando anche mi dice che mi vuole bene. Non lo fa, son io che lo sento, lo so. Lo vedo stanco, tanto stanco. Lo sento solo e invece di abbracciarlo, spesso gli do addosso. Perché, discorso già fatto, tutto questo è colpa sua: ha fatto i suoi errori, ha scelto senza criterio. Ha agito sconsideratamente, meritandosi tutto questo. Ma se razionalmente io lo so, emotivamente mi dispiace e allo stesso tempo mi fa rabbia. Vorrei che si lasciasse guidare e vorrei avere una soluzione anche per lui.

La rabbia è un po' la mia quintessenza. Oramai mi rendo conto che ne ho lasciata così tanto dentro di me, che mi scorre nel sangue come un siero caldo e denso. Quando prende il sopravvento mi riempe il cuore di nero, mi distrugge e combatte con me stesso. Forse imparerò a controllarla, forse meno. La prima cosa da fare, lei dice, è trovare il mio posto nella mia vita. Al momento non mi ha detto come fare, ma sono speranzoso.

Intanto la mia vita procede tra alti e bassi: c'è sempre una mail per l'America da spedire, mezza città col mio numero di telefono vicino alle scuole e tanto vuoto nel mio cuore. Mi accontentò di riempire il mio conto in banca, ora come ora. Una buona e consistente parte del mio essere solo viene anche dalla mia ansia, dalla mia paura di stabilirmi (nonostante il desiderio e la tensione continua verso questo).

Ho fiducia? Sì. Spero, forse a torto.
Come what may, anche in questo caso.

Cause they can see the flame that's in her eyes.

martedì 12 febbraio 2013


Forse dovrei riflettere sul fatto che vedere Glee mi renda sempre così portato a fare grandi riflessioni su me stesso. Eppure è così.

Ho appena visto "Diva" e ho pianto forte; la scena tra Tina e Blaine, la scena finale di Santana poi. Diciamo che son state un po' catartiche, forse meno di quanto io stesso voglio sperare siano state. La voglia immensa di riuscire, di essere qualcuno, di spezzare la mediocrità e finalmente di avere il posto nel mondo in cui mi possa sentire "giusto".

Everybody stands, as she goes by
Cause they can see the flame that's in her eyes


Ieri sentivo Second Hand Baby Grand di Smash e mi son sentito subito in sintonia con quella canzone. E' buffo, ma è così. Sono di seconda mano nella mia vita: non ho amici che mi considerano come prima scelta, per i miei anche sono di seconda mano. L'unica cosa che mi riesce è lo studio, ma non sono il prossimo Nobel quindi diciamo che riesco a trarne meno gioia di quanto vorrei.

Watch her when she's lighting up the night
Nobody knows that she's a lonely girl


Sento di essere diverso da chi ho intorno: guardo tanto in alto, per avere solo ventidue anni. Nonostante quello che mi porto appresso, nonostante quello che mi trattiene giù, sogno di farcela. Di dire addio a tutto questo. Ci sono giorni in cui sento dentro di me una forza enorme, che lotta contro le pareti della mia pelle per uscire fuori. E ogni volta che la devo reprimere devo concentrarmi con tutto me stesso, altrimenti basta un nulla, una canzone nella riproduzione shuffle, uno sguardo da un passante per portarmi nella mia dimensione parallela dove sento di essere al posto giusto, al momento giusto. Dove mi posso sentire a casa finalmente.

Adesso un pullman mi aspetta, ma volevo buttare giù queste poche parole.


Feeling the catastrophe, but she knows she can fly away